di Stig Dagerman (traduzione di Fulvio Ferrari), Iperborea

Chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà.
Folgorante, testamentaria, Il nostro bisogno di consolazione è un’opera drammaticamente sospesa tra vita e morte, tra libertà e prigionia dell’animo.
Spietato e profetico gioiello del reporter svedese, di rara intensità, seppur brevissimo, questo libro ci appare come un canto disperato, frutto di un pensiero forte e libero.
Giovane anarchico dalla penna raffinata e schietta, difensore instancabile dell’inviolabilità della vita, l’autore ci porta a ragionare su tematiche estremamente attuali, regalandoci un testo bellissimo e straziante in cui scrive delle contraddizioni dell’esistenza: il desiderio di felicità e l’impossibilità di raggiungerla; la brama di libertà e le schiavitù della vita; le consolazioni false che accrescono l’impotenza e quelle vere che, invece, consentono un istante di liberazione.
Nel denso monologo, Dagerman mostra appieno la sua ossessione per il tempo e per la morte: solo la bellezza può offrire una via di fuga, tendendo all’eternità.
Insofferente alle imposizioni ed alle aspettative della società, tanto da negare la voce al suo talento per un lungo periodo, muore suicida all’età di soli 31 anni, spezzando una carriera letteraria di grande successo.
Le letture di questo autore intransigente continuano tuttora a rappresentare una sfida etica, un incentivo ad una profonda riflessione personale: che cosa significa per noi consolazione? Cosa libertà, felicità?
Forse non è un libro per tutti, ma chi si cimenta non può rimanere indifferente a queste parole potenti che colpiscono intimamente.
[Serena, @culturalpills]
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